IL MANUALE IMPROBABILE
DI STORIA DELL'ARTE

MISFATTO

Non so se capita anche a voi, ma col passare degli anni ho constatato che tante cose perdono i loro contorni netti, certo può darsi che sia colpa della miopia, ma mi accade anche con i concetti, ad esempio con la verità.
Quando ero giovane avevo questa idea molto democratica: se una cosa è vera per me, lo è anche per tutti gli altri. Punto.
Detta così sembra un po’ autoritaria ma immagino fosse lo sguardo abbagliato della giovinezza, così catturato dai colori accesi, da ignorare completamente le trasparenze che si sovrappongono e si confondono come riflessi sull’acqua.
Comunque col passare degli anni sono rinsavita (o rincoglionita) e ho capito che difficilmente una verità è completamente ed inequivocabilmente vera, quasi sempre si deve ragionare sulle percentuali e dividere una verità in spicchi come la scatola dei formaggini Susanna (dubito che esistano ancora ma era necessario fare un riferimento archeologico-caseario per collocare il periodo storico).
Dovete essere pazienti riguardo l’evoluzione della mia concezione di verità, poiché non è ancora terminata. Infatti ora che ho praticamente l’età del codice di Ammurabi ho scoperto un fatto sconcertante: una cosa può essere completamente falsa per me e assolutamente vera per un’altra persona.
Se questa persona è distante da me, in fondo il problema si risolve facilmente, coniando la definizione “verità bipolare” e assimilando il concetto di verità al concetto di calamita, che oltretutto ritorna sempre comoda per attaccare i foglietti allo sportello del frigorifero.
Tuttavia, se io considero intelligente la persona in questione, se stimo e apprezzo ciò che scrive, come è possibile conciliare la sua verità falsa con la mia verità vera (o viceversa)?
Ho fatto questa premessa pretestuosa, con l’unico scopo di farvi addormentare serenamente, nella speranza che non vi accorgiate del misfatto imperdonabile che sto per commettere: in questo intervento non parlerò degli artisti.
Mi ero autoimposta la regola di dedicare le mie attenzioni esclusivamente agli artisti e io odio infrangere le regole, dopo mi tocca perdere un pomeriggio per raccogliere tutti i pezzetti e incollarli.
Per non rischiare di contravvenire alla mia regola leggo libri che parlano solo d’arte, così non corro il pericolo di incontrare notizie irresistibili su argomenti non artistici. Finora mi è andata di lusso, ho scoperto cose stupende su Duchamp, Heizer, Baj, Opalka, Mondrian… ed ero bella tranquilla col mio ennesimo libro pieno d’arte e di artisti.
Ma non bisogna mai dare nulla per scontato, infatti sono stata incauta, mi sono fidata dell’Autore Autorevole, della sua chiara fama e adesso mi tocca parlare di… scrittori!
So che gli scrittori sono artisti, lo sono anche i musicisti se è per questo, ma visto che io sono leggermente categorica (nel senso delle categorie)Dante Gabriel Rossetti non li ho mai considerati più di tanto.
I musicisti li ignoro per questioni di comodo: di musica non ne so nulla e ne capisco ancora meno. Ho criteri di giudizio che definire bizzarri è davvero troppo indulgente. Ad esempio mi piace la musica di Mozart perché trovo che lui sia un personaggio incredibile e io per prima riconosco che apprezzare la musica per un motivo del genere necessita di una bella fantasia.
Comunque per me la musica resta un universo parallelo particolarmente inaccessibile; so che tra i musicisti ci sono tipi degni di nota (battuta ben orchestrata, spero!) ma io non riesco assolutamente a trovare la giusta chiave di violino per entrare in sintonia coi loro pentagrammi.
Anche gli scrittori mi ispirano meno degli “artisti” e questo lo trovo abbastanza strano perché amo i libri e le parole, ma per il momento le cose stanno così e non posso che accettarle. Peccato perché so che ci sono scrittori molto interessanti per una cacciatrice di assurdità, ma finora la mia unica preda tra gli scrittori è Dante Gabriel Rossetti che è anche (e forse soprattutto) pittore.
Ma questa cosa che ho saputo è troppo bella perché resti nascosta a pagina 306, devo trovare la scusa adatta per infilare una storia di scrittori in un manuale d’arte…
Ho trovato, darò la colpa al Serissimo Autore. In fondo si tratta pur sempre di Arnold Hauser e se lui parla di scrittori in un libro che si intitola “Le teorie dell’arte” allora posso tranquillamente accettare la sua classificazione e in via del tutto eccezionale dedicare un intero e interminabile capitolo agli scrittori.
Allora… Hauser, dopo aver esposto un sacco di idee brillanti e ben scritte, arriva alla fine del libro e decide di fare un regalo a me personalmente, dicendo che BalzacHonoré de Balzac parla dei suoi personaggi come di figure della sua sfera privata di vita, ad esempio: si consiglia coi suoi amici per decidere con chi debba far sposare Eugénie Grandet.
Fantastico, ho pensato.
La letteratura francese non mi ha mai entusiasmato, Balzac poi non è proprio il mio scrittore preferito, ma cose del genere mi conquistano. Immagino Honoré de al bistrot che beve Pernod col cestino di uova sode davanti, e sfinisce gli amici impegnati in una partita a chemin de fer per elencare i pro e i contro di tutti i pretendenti di Eugénie. Dubito che la mia ricostruzione sia corretta, ma della Francia trovo indimenticabili e inspiegabili le uova sode nei caffè; non so che fanno gli avventori per passare il tempo, penso che la briscola sia poco parigina, così ho optato per lo chemin de fer che non so bene cosa sia ma è più chic!
Mentre immaginavo Balzac impegnato ad organizzare matrimoni, Hauser proseguiva imperterrito parlando di Ibsen “quando racconta della fanciullezza della sua Nora, com’ella venne viziata, com’è che ebbe quel nome, ecc…”
Ri-fantastico, ho pensato.
Chi se lo sarebbe aspettato da una persona seria come Ibsen, incredibile come questi scrittori norvegesi si perdono in amabili chiacchiere. Su Ibsen non ho immaginato molto, qualche fiordo, luce chiara, gabbiani… Balzac offre maggiori spunti ma fa sempre piacere scoprire che anche gli Ibsen hanno il cuore tenero.
Insomma ero molto felice di aver saputo queste belle cose, quando Hauser conclude la frase dicendo “tutto ciò riguarda una dimensione della realtà che sta al di fuori dei confini delle opere e non ha niente a che fare con le opere stesse.”
SBAM
Il crollo di un mito e proprio sulla mia testa!Hauser & me
Ma come?!? Mi ero così affezionata ad Hauser, mi aveva fatto pensare e anche sorridere con le sue considerazioni su Freud. Poi lo trovavo così carino e buffo quando inorridiva al sol pensiero del romanticismo, proprio non ne sopporta neanche l’idea. Se Hauser sente pronunciare il termine “romanticismo” semplicemente vomita, è più forte di lui.
Avevo imparato a stimarlo e ad apprezzarlo, e lui mi spezza il cuore in questo modo. Come si fa a dire che “tutto questo” non ha niente a che fare con le opere stesse? Ma “tutto questo” è l’opera, è l’arte stessa.
Come può affermare una cosa del genere? Se Eugénie ha vita è perché Balzac la vede vera e reale al punto da preoccuparsi per il suo matrimonio. Se Nora ha vita è proprio perché Ibsen “racconta della fanciullezza della sua Nora…” la SUA Nora, una creatura che non è solo un ricamo di parole su un foglio, è molto di più. Naturalmente questo sentire i propri personaggi come creature reali non basta per renderli vivi, è necessario il talento ma mi pare che Balzac e Ibsen ne avessero in abbondanza.
Io non mi capacito.
Voglio dire, anche io non apprezzo particolarmente il romanticismo, però sono sicura che l’opera e l’arte non nascono solo da un programma. Io credo che gli scrittori siano tutti allo stesso tempo creatori e succubi dei loro personaggi, c’è una magia per cui tu pensi a un personaggio, decidi: farà questo e quello, poi a un certo punto ti accorgi che è il personaggio stesso a dirti cosa farà.
Tanti anni fa ho letto “Memorie di Adriano”. Ricordo che mi piacque molto e in appendice la Yourcenar raccontava il metodo che aveva usato per scrivere il suo libro. Diceva che la notte scriveva pagine e pagine accanto al fuoco, raccontava quello che faceva Adriano, la sua vita, le sue giornate, il suo rapporto con Antinoo, descriveva ogni cosa, ogni particolare che lei vedeva.
Poi il giorno dopo rileggeva ed eliminava quasi tutto, e questo lavoro che era quasi una rievocazione, restava nelle poche parole superstiti.
Io sono sicura che gli scrittori, in qualche modo, creano un rapporto coi propri personaggi che va ben oltre quello che resta scritto.
E sono sicura che questo processo non solo fa parte dell’opera ma ne è la parte più importante, se manca questo trasporto-abbandono dello scrittore nei confronti dei personaggi manca la vita.
Sono certa di questo tanto che potrei mettere la mano sul fuoco (come disse Capitan Uncino).
Ma la mia verità è assolutamente falsa per Hauser, e lui non è certo un fringuello salame che si diverte a fare collezione di artistiche assurdità, lui è Arnold Hauser e io lo considero sinceramente un grande studioso, storico e critico…

e ho capito
qual è la differenza
fra un critico e un artista.

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