IL MANUALE IMPROBABILE
DI STORIA DELL'ARTE

UNA PICCOLA PRECISAZIONE SU MALEVIC…

Lo sapevo, lo so, l’ho sempre saputo, eppure ogni volta ci ricasco. Giuro che farò il possibile per perdere questo brutto vizio: devo smettere di leggere libri seri!
Sono subdoli e bugiardoli, sembrano i depositari della verità Assoluta, invece sono gli omissari della Realtà Scomoda, nel senso che omettono tutto quello che risulta poco consono all’immagine dell’artista che vogliono imporre alla storia.
Prendiamo un esempio a caso: Malevic. Su di lui ho letto prima un libro serissimo, pesissimo e oscuro, cioè il testo l’ho capito, parlavo della copertina nera su risvolto nero. Era funereo e sembrava un breviario, ma non ho intenzione di analizzare la psiche contorta dei copertinatori di libri, almeno non per il momento.
Dopo il libro serissimo ho letto un libro serio, per fortuna alleggerito da affascinanti ritratti di Malevic & Co.
Nel frattempo per gentile segnalazione di un’amica che ho malevicizzato senza pietà, mettendo a dura prova la sua Cristiana pazienza, ho saputo che un settimanale dichiaratamente pro caffeina, regalava un piccolo libro su Kazimir. Ho pensato: non sarà allo stesso livello del libro serio, men che meno di quello serissimo, comunque mi fa piacere avere qualche sua foto.
Il mio snobismo librario ha ricevuto una dura lezione, ormai dovrebbe sapere che le cose migliori si trovano nei luoghi inaspettati. In un libro da nulla ho trovato la storia più bella su Michelangelo, una perla perfetta.
E ora la conferma: questo libretto è impagabile, anche se tra pagina 79 e pagina 83 manca una parte di testo. Mi ha dato più informazioni fondamentali su Malevic dei suoi due fratelli pretenziosi messi insieme, senza contare un link a Leonardo che svilupperò in un futuro post-suprematista.
Il fatto è che i libretti piccoli e sperduti nella bancarelle tra i romanzi di Liala e le agende di suor Germana a volte sono i più coraggiosi, hanno cuore e passione. I loro autori spesso sono innamorati dell’artista di cui parlano, magari non sono precisamente obiettivi e si lasciano trasportare dall’entusiasmo, ma hanno ben chiara una cosa: le interpretazioni ufficiali e accreditate non sono necessariamente le più valide.
L’opera è autonoma, esiste come oggetto libero nel mondo, non è necessario conoscere per forza vita e miracoli del suo autore per apprezzarla. Gli iris di Van Gogh sono belli e intensi per conto loro senza la necessità di sapere chi li ha dipinti.
Tuttavia penso che per chi crea arte sia importante conoscere la vita degli artisti, sapere come hanno vissuto, cosa hanno scritto, quali erano i loro rapporti con il mondo e la cultura a loro contemporanea.
Conoscendo meglio questi nostri nonni, padri e fratelli maggiori, possiamo servirci di ciò che apprendiamo per elaborare le nostre riflessioni utilizzando anche le loro esperienze.
A volte sono particolari che sembrano insignificanti a farci riconsiderare aspetti sui quali non ci eravamo soffermati. Ad esempio il mio prezioso libretto dice una cosa che gli altri due hanno passato sotto silenzio:
“in russo rosso e bello sono un’unica parola.”
Questa è una cosa essenziale, basilare e sostanziale!
Se Malevic ha intitolato un quadro “Quadrato rosso/bello” ritengo questo un aspetto da non trascurare, non era un tipo che faceva le cose a caso. Era attento alle parole, chiamava giustamente il quadrato “quadrangolo”, perché non aveva dipinto una figura geometrica regolare.
Chiamare un quadro in quel modo è una cosa commovente, è come se Malevic volesse trasmettere il suo rapimento nei confronti del quadrato e consegnargli il suo amore.
Una persona normale vede un quadrato e non è che dà fuori di testa per l’entusiasmo. Malevic nel quadrato vedeva la bellezza e ha voluto che la cosa fosse chiara.
Spesso ci capita di leggere opere con titoli assurdi e pensiamo: allora era meglio un onesto e sobrio ‘Senza titolo’!
Il titolo non dovrebbe essere una sovrapposizione, una frase a effetto o un termine sovraccarico. Certo non è facile, si rischia di cadere nel tentativo del significato stratificato, noto come ‘sindrome Saint-Honorè’, ma proprio gli esempi degli altri artisti possono servire per capire cosa vogliamo da un titolo.
Trovo che questa identità nella lingua russa tra la parola ‘rosso’ e la parola ‘bello’ sia stata utilizzata da Malevic con profondità e semplicità. Non è un gioco di parole alla Duchamp sofisticato e costruito. Al contrario è una specie di battesimo primitivo dove il nome corrisponde al nominato.
Malevic non dice: questo quadrato rosso è bello. Dice: questo quadrato rosso è bellezza, la sua forma è bellezza.
Non usa un aggettivo ma identifica il quadrato rosso con l’altro suo significato di bello, legando la realtà visibile (il quadrato rosso) all’essenza della bellezza, che non viene più identificata con la “raffigurazione di piccoli angoli di natura, di Madonne o di Veneri impudiche…” (queste parole le ha scritte lui sul volantino esplicativo distribuito durante la mostra ‘0.10: ultima mostra futurista’. Ora vorrei che qualcuno mi esplicasse una cosa: che caspita significa il titolo ‘0.10 ecc’? Se è l’ultima al limite dovevano chiamarla Zero, Fine, The End! E che vuol dire: ‘Zero punto dieci’? Il punto sarebbe una virgola? Ma anche in questo caso non è che si capisca molto… ho già rimarcato l’incomprensibilità dei russi. Ma diamogli fiducia, avranno avuto le loro buone ragioni.)
Quello di Malevic sembra quasi un uso magico della parola, come se impiegasse il potere del nome, che in questo caso è raddoppiato dalla coesistenza di due significati nello stesso vocabolo, per potenziarne le qualità significanti.
Se avesse dipinto un quadrato blu e l’avesse chiamato ‘Quadrato bello’ avrei pensato: che titolo del cavolo. Invece ha dipinto un quadrato rosso+bello e l’ha chiamato ‘Quadrato rosso+bello” segnalandoci una riflessione non attinente all’oggetto ma esplicativa di una sua definizione interiore riferita all’oggetto stesso.
In questo piccolo libretto ci sono molte altre cose a mio avviso importanti che non ho trovato negli altri libri.
Nel 1917 Malevic scrive a Matjusin:
“Mi sono visto nello spazio, nascosto tra punti e fasce colorate; là, tra di essi, sprofondo nell’abisso. Quest’estate mi sono proclamato presidente dello spazio.”
In linea con il nuovo corso rivoluzionario si proclama presidente, mica zar!
A parte le considerazioni sull’ordinamento politico dello spazio, questo è un aspetto importantissimo. Malevic usa un linguaggio mistico, e fin qui siamo capaci tutti, basta mettersi a scrivere alle tre di mattina, aggiungere al testo cavalli neri dagli occhi fiammeggianti e cancelli nel cielo, inserire qualche animale leggendario come il leviatano, la chimera o la zebra a pois, infine includere dialoghi con l’Altissimo e i suoi arcangeli.
Il problema è quando si vanno a verificare le profezie, cosa che di solito il veggente di turno risolve rilasciando previsioni pret–à–porter che vanno bene su tutto. D’altronde lo faceva anche l’oracolo di Delfi, scriveva un po’ di parole a caso e verbi al futuro su foglie, poi le mandava al supplice oracolabile su un soffio di vento e lui le doveva assemblare. Direi che aveva inventato la profezia fai da te.
Malevic invece nell’ ‘Opuscolo suprematista’ parla di voli interplanetari e di satelliti orbitali sui quali potrà vivere l’umanità. Il testo è del 1920.
Malevic con Planiti e ArchitektonesI Planiti erano progettati per ospitare l’uomo nelle sue peregrinazioni cosmiche e trovo che questa sua preoccupazione per l’umanità vagabonda nello spazio, sia una bella sintesi di poesia, fantasia, fiducia nel futuro e preveggenza sulle possibili applicazioni tecnologiche.
Negli altri libri che ho letto, Planiti e Architectona erano prudentemente indicati come forme elaborate per ispirare gli architetti. Forse per questi autori l’immagine di un Malevic intento a ideare stazioni orbitali è poco conforme al creatore del Suprematismo, somiglia di più a un ragazzino appassionato di fantascienza che si diverte a costruire modellini di astronavi nel giardino di casa.
Invece penso che questa capacità di vedere prospettive remote e giocare all’avventura nello spazio sia uno dei tratti più ammalianti del carattere di Malevic, un artista profondamente serio e allo stesso tempo capace di fantasticare e divertirsi, come dimostra anche la sua idea geniale di retrodatare i quadri che dipinse a partire dalla fine degli anni Venti.

La storia più o meno è questa. Malevic come ben sappiamo, stava beato e tranquillo a dipingere quadrangoli e a progettare stazioni spaziali senza dare noia a nessuno. Ma un bel giorno nasce l’ AKhRR, che non è un mostro cefalopode proveniente dalle paludi di Chthulhu, perennemente incacchiato perché nessuno riesce a articolare il suo nome, infatti i suoi seguaci nei riti a lui dedicati lo chiamano ‘L’Impronunciabile’.
Dicevo, l’AKhRR (Associazione di pittori della Russia rivoluzionaria) sostiene che l’avanguardia sperpera il denaro pubblico per schifezze incomprensibili al popolo, quindi Malevic nel 1926 viene esautorato.
Mi chiedo quanto poteva sperperare il povero Kazimir, per i suoi Planiti usava il gesso mica il marmo pario... comunque secondo l’autore del testo, gli viene concesso di compiere un viaggio in Occidente come ‘premio di consolazione’.
La logica di tutto ciò mi è oscura, ma ho già verificato che i russi sono tanto brillanti e geniali quanto imperscrutabili, quindi mi limito a cliccare su ‘Accetto’ e procedo.
Si reca in Polonia (paese di origine della sua famiglia) dove viene accolto in modo trionfale: feste, banchetti, mostre... insomma una gran baracca. In seguito va a Berlino dove l’atmosfera si fa più seria, infatti al Bauhaus non circola neanche mezzo bicchiere di birra, però in compenso incontra Gropius, Van der Rohe, Meyer, Moholy-Nagy e Kandinskij. Il livello è decisamente alto e anche qui mostre e conferenze.
Nel bel mezzo di questo momento fondamentale viene richiamato a Leningrado, così decide di lasciare tutti i suoi quadri e gli scritti a Berlino.
Ho già riferito questo episodio ma volevo sottolinearlo perché è molto importante, non solo per lui in quanto persona e artista ma per l’arte in generale.
Secondo l’autore del libro, Malevic non ha mai pensato di lasciare l’ Unione Sovietica come fecero tanti altri artisti. E’ curiosa questa affermazione, non si fa riferimento a una frase scritta da lui o a una testimonianza di familiari, viene fornita come dato di fatto. Devo confessare che sulle prime ho pensato che avesse desiderato lasciare la Russia e non aveva potuto farlo per motivi a noi sconosciuti, poi ho capito che sbagliavo.
Malevic era molto legato alle proprie origini, l’arte era stata per lui una scelta totale e naturale, non una decisione ma una vocazione inarrestabile e assoluta, lo stesso tipo di necessità che fa crescere una quercia fino a che diventa un magnifico gigante.
Il suo primo contatto con l’arte avvenne grazie agli oggetti realizzati dai contadini ucraini, soprattutto le uova decorate.
So che anche in Italia tempo fa c’era questa tradizione in versione sbrigativa. Mia nonna diceva che per Pasqua le uova venivano colorate mettendole a bollire con vari ingredienti: fette di barbabietola per uova rosse, spinaci per quelle verdi, salamandre per uova nere a macchie gialle… Io non le ho mai viste, quando ho chiesto a mia nonna di preparare anche per me le uova colorate nere e gialle, mi ha detto che non era possibile, perché di salamandre come quelle dei suoi tempi non se ne trovano più, così non posso fornire una descrizione dettagliata.
Invece sul mio libretto ci sono tre foto di uova decorate ucraine risalenti al 1911 e devo dire che le trovo sorprendenti. uova decorate ucraineNon c’è nulla di naif o di ingenuo, al contrario sembrano decisamente opere contemporanee, essenziali, astratte. Quella al centro ha una perfetta organizzazione spaziale, è equilibrata e dinamica. Certo che se i contadini russi facevano cose del genere, si comprende il retaggio di Malevic e i suoi risultati: direi che ha realizzato la quadratura dell’uovo!
Ma per tornare all’origine (mi verrebbe da scrivere: ab ovo, ma resisterò alla tentazione…) della mia lunga digressione, vorrei riprendere in esame il momento del suo viaggio all’estero.
Malevic è a Berlino, deve rientrare, teme per la sua vita (infatti raccomanda in caso di “morte o prigione a vita” a chi volesse pubblicare i suoi manoscritti, di studiarli prima di tradurli) ma non sceglie l’esilio. In quella circostanza difficile conserva la lucidità e decide di lasciare le sue opere. Non le rivedrà mai più.
Non so se prima di morire ha potuto avere notizie dei suoi lavori ma credo che in quel periodo in Germania fossero troppo impegnati a combinare disastri, dubito che i quadrati avessero la priorità.
Probabilmente era in pena per quello che aveva affidato ad altri, forse è morto senza sapere se i suoi quadri e i suoi scritti esistevano ancora, chissà quante volte si è domandato se aveva fatto bene a prendere quella decisione.
Dormi sereno Kazimir, hai fatto benissimo.
In quel periodo storico l’URSS aveva fatto sparire le opere dell’avanguardia, per fortuna non vennero distrutte, ma questo si è saputo solo dopo il crollo del muro di Berlino, quando sono state riabilitate e fatte uscire dai gulag.
Con il suo rientro dalla Germania Malevic non dipinge più quadrati ma ritorna al figurativo.
Orbene, devo rettificare me stessa! Nel primo libro che ho letto (quello serissimo) la produzione post–quadratista di Malevic viene definita in questo modo:
“… una pittura dai colori edulcorati, come accesi da una luce falsa e costante; per lo più, le opere raffigurano manichini senza volto, effigi di una condizione umana costretta all’anonimato.”
Tralasciamo le considerazioni stilistiche ed esaminiamo il contenuto.
Secondo l’autore le opere che Malevic dipinse dopo il ’28 sarebbero praticamente delle schifezze. E io gli ho anche creduto! Mi meraviglio della mia ingenuità, ma ho l’attenuante generica della riproduzione fedifraga (cioè le foto delle opere scelte per rappresentare questo periodo non erano fedeli a nulla).
Sul libretto invece ci sono diverse foto dei quadri post suprematisti di Malevic. Secondo il mio modesto parere, sono opere di un grande artista che usa il figurativo solo in apparenza: non è un caso se lui stesso definisce questo periodo ‘sovranaturalismo’.
Come al solito ha dipinto quadri fantastici: figure essenziali con cieli a strisce, omini che corrono su bande colorate, contadini trasformati in geometrie variopinte. Uno dei miei preferiti è del 1930, si intitola ‘Testa di contadino’ e l’autore del libro dice che “…il contadino somiglia a un Cristo”.
Malevic, Testa di contadino (1930)Se è per quello somiglia anche a mio zio, comunque lo trovo strabiliante, c’è questa testa con uno sguardo consapevole e dietro un paesaggio a righe e contadine a trapezi.
Ma l’idea straordinaria di Malevic è la retrodatazione dei quadri. Sempre più geniale.
Non solo ha fatto impazzire gli storici ma essendo presidente dello spazio, per la proprietà transitiva della relatività, ha anche giurisdizione sul tempo, pertanto può legittimamente decidere che un quadro dipinto nel 1930 va riportato al ’19 e lo fa senza dover rendere conto a nessuno. Non è mica una presidenza onoraria la sua!
Forse la cosa che mi piace di più è la sua apparente tranquillità, sembra un tipo stabile, poi scopri che è serio e pazzo allo stesso tempo, è questo suo equilibrio dinamico a renderlo unico, come un uovo ucraino comprende sintesi e analisi (l’analisi è data da guscio+tuorlo+albume, la sintesi ovviamente è l’omelette!).
C’è un piccolo episodio che illustra il suo essere riflessi e luminosità inattese.
Nel 1924 Marinetti va in URSS. Larionov non era esattamente un suo fan, così aveva pensato di accoglierlo con un lancio di uova marce e yogurt.
Ora io mi chiedo: come fa Larionov a farsi venire in mente un’idea del genere? Va bene le uova marce, sono sempre un classico… ma lo yogurt? Come si fa a lanciare lo yogurt?
Mi immagino Filippo Tommaso bersagliato da uova e vasetti, conoscendo il soggetto penso che avrà risposto al fuoco con cornetti e cappuccini (per rimanere in tema colazione) divertendosi come un matto.
Suppongo che anche gli altri artisti antimarinettiani avranno atteso con ansia il suo arrivo, accorrendo in massa per partecipare al divertimento riforniti di munizioni.
In mezzo a tutto questo bailamme, Malevic se ne resta per i fatti suoi. Uno pensa: Certo, era una persona seria e pacata, che non amava farsi notare.
Sbagliato!
Non stava in disparte per discrezione, lui non era affatto contrario alla visita di Marinetti e girava per Mosca con un cucchiaio di legno all’occhiello come emblema futurista.
Grande Kazimir, un cucchiaio è proprio quello che ci vuole per lo yogurt.

capitolo successivo >

capitoli 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15